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recensioni

giovedì 12 gennaio 2006

dal BRESCIAOGGI inserto spettacoli - autore FABIO BIX

Un giorno di primavera in cui l’allergia, in antitesi col booom di colori che c’era, m’annebbiava il cervello da quasi non vedere le parole che mi si rivolgeva, il Prof Guido Michelone, un tipo davvero simpatico nonché docente di Storia della musica afroamericana alla Cattolica di Milano, mi disse «ah, ti chiami Bix, come il jazzista!». Io, per non fare una figura da gnucco glissai facendo finta di ché. Poi, camminando nella vita, capita che le cose ti si facciano incontro, e così l’altro Bix l’ho conosciuto. No, non di persona, figurati: è vissuto nei primi decenni del 900, lui. Era un trombettista, lui. Bravissimo. E bianchissimo. Come il marmo di Botticino. L’unico jazzista bianco amato da Boris Vian, per intenderci.
Non ci siamo intesi? No-o? Allora senti: Bix Beiderbecke è morto supergiovane, ai trenta mi pare nemmeno sia arrivato, o se sì, beh, non ha avuto il tempo d’abituarcisi. Schiantato dall’alcol. Né il primo né l’ultimo, ma un gran peccato, a quanto pare. Ne è dell’idea anche Pupi Avati, che ne ha fatto un film il cui sottotitolo è: «un’ipotesi leggendaria». Il titolo? Semplicemente: «Bix». E, t’assicuro, m’ha fatto uno strano effetto vedere proprio quelle tre lettere, in quell’ordine, sulla copertina della videocassetta. Non ti dico poi mentre guardavo il film! Gli dicevano «...ehi Bix, ciao Bix, come va Bix», proprio come capita a me quando cammino in contrada del Carmine o mentre annego la noia in favore dell’allegria nell’arancio di uno o tre pirli.
Marco Tamburini pure lui suona la tromba, ma siamo nel 3° millennio, ora, e lui ben lo sa. C’è la tecnologia, ora, e il suo New Trio, per fortuna di chi era all’Antica Birreria della Bornata 46 lunedì scorso, ne fa un uso, direi, magico. Come quando il Tamburini ha suonato «Volare», quella di Modugno, con la tromba effettata sulle ali della Yamaha rarefatta di Stefano Onorati, onore a loro, e grazie, grazie, grazie per avermi fatto «volare» nel cielo sopra Berlino, su quelle note. Non ti dico, poi, di quando c’han regalato un pezzo dei Radiohead, altra magia d’atmosfere, con anche Walter Paoli a condire di batteria variegatissima ma puntuale più degli svizzeri/ estroso in modo svizzero, Walter Paoli?...
«Ma non dovevano suonare il Jazz?!», mi dirai tu. Certo, certissimo, l’han suonato alla grande, e anche il Funk, e l’Acid Jazz, alla grande ti dico, tastiere batteria e tromba intricatissime, e scivoloni su ghiaccio caliente... Jazz, insomma! Ma qua e là, con l’elettronica, hanno creato momenti di sospensione, quasi di sacralità, direi. Parrò blasfemo, ma è così, ti dico. Come in quell’inizio di canzone in cui c’era un vento caldo di flicorno che filtrava dentro a grotte poco illuminate, e noi di colpo eccoci traslati direttamente nello Yemen, o forse in Cappadocia, e poi s’è udito un avanzare di cammelli, tanti, a colpi di batteria d’ovunque, mentre bassi di tastiera montavano l’arrembaggio, e la tromba del Tamburini che andava e veniva, suonava la ritirata e poi attaccava di lato, incursioni fulminanti, e noi si era circondati, presi nel bel mezzo d’una bellissima battaglia indolore e... non so cosa ne avrebbe pensato l’altro Bix, il Beiderbecke, ma questo Bix, sì, insomma, io... Io sì: davvero felice d’esserci stato!Fabio Bix

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